Partire da sola: cosa mi ha insegnato

Alice S.
5 min readJul 17, 2018

Vabbè, adesso non esageriamo. Non sono partita per la Thailandia, mi sono solo regalata una giornata a Venezia in solitaria.

Viaggiare da sola = chiedere agli sconosciuti di farti una foto ricordo ma andare in panico e dimenticarsi di avere un auricolare nell’orecchio. Vabbè dai, almeno sorrido.

È un periodo un po’ così: al momento non sto lavorando, i miei amici sono tutti in ufficio a guadagnarsi la pagnotta, e il mio ragazzo è impegnato in un viaggio in bici senza di me. Mi vergogno di ammetterlo persino a me stessa, ma nonostante i film, i telefilm, le sporadiche uscite serali, lo sport e i libri, mi annoio.

Che fare allora?
La me stessa di qualche tempo fa avrebbe probabilmente gettato la spugna davanti alla solitudine e, chiudendosi sempre più a riccio, sarebbe rimasta a casa a coltivare sentimenti poco produttivi (autocommiserazione, tra gli altri). Nonostante in passato io abbia vissuto per un po’ in un paese straniero, trasferendomici da sola, e mi sia quindi abituata a uscire da sola, mangiare da sola, studiare da sola, dormire da sola, bere da sola (in Francia è molto facile bere da soli con tutto quel vin rouge a 3€ al supermercato sotto casa), non ho mai digerito a fondo il fatto di non avere compagnia nella vita, e ho sempre avuto difficoltà ad accettare che “stare da soli” e “stare bene” potessero non escludersi a vicenda.
La me stessa di adesso ha deciso che queste erano tutte menate inutili, menate da superare per regalarsi una piccola soddisfazione.

Siccome sono al verde, e siccome penso sia meglio iniziare dalle piccole cose invece che da quelle grandi (con le piccole sfide si minimizza la probabilità del fallimento, che per me è un’ottima strategia: se fallisci ti demotivi, se riesci invece sono punti autostima e più punti autostima hai più sei pronto per sfide più grandi), invece di prenotarmi una 3 giorni in solitaria ho optato per una gita in giornata.

Quante volte mi sono ritrovata a passare la giornata completamente da sola? Infinite.
Quante ho deciso di prendere un treno da sola, passare la giornata da sola in una città non mia, senza avere amici a cui fare visita, tornando da sola la sera a Milano?
Mai.

E quindi sono andata a Venezia. Così, un po’ a caso.
Quanto mi è piaciuto il brividino* che ho provato quando ho comprato i biglietti del treno! (*il brividino è un brivido particolare e molto specifico: mi viene solo quando faccio qualcosa che per me rappresenta una sfida — per quanto piccola-. Il migliore di tutti è stato il brividino di quando ho acquistato il biglietto del treno di sola andata per Parigi, e mi auguro che nel mio futuro di brividini così ce ne siano molti altri ancora)

Una Venezia deserta, vicino a San Giobbe

Prima di partire avevo preso nota di qualche posto che volevo assolutamente vedere, di qualche cosa da fare, ma senza darmi orari o itinerari. Per chi ha la tendenza a organizzare e pianificare tutto nel quotidiano (sì lo so, è una caratteristica insopportabile, ma esattamente come organizzo gli eventi organizzo anche la mia vita, e se qualcuno me lo chiede organizzo anche la sua) lasciarsi trasportare dalle circostanze non è facile. Proprio per questo mi ero data l’obiettivo di non programmare, di non avere schemi da seguire, in modo da non attivare il pilota automatico ma anzi da essere certa di fare, in ogni preciso istante del mio viaggio, esattamente quello che volevo in quel momento.

(mentre scrivo sghignazzo: lo so che è assurdo — e per quello rido — ma a volte mi capita di non riuscire a sentire o a capire come sto perché sono distratta da quello che sto facendo, spesso perché lo faccio in modo frenetico apposta per non pensare o non sentire. Forse sono pazza)

Appena scesa dal treno, colta da un attimo di smarrimento, mi sono detta “Cara Alice, che si fa?”. E ho deciso di perdermi. Vicolo dopo vicolo, ponte dopo ponte, canale dopo canale, respiro dopo respiro (e foto dopo foto, perché dai, Venezia è bellissima e non fotografare ogni angolo è impossibile) ho ritrovato un po’ di spontaneità che mi sembrava di aver perso.
Camminare senza meta, cercando di godermi il semplice fatto di essere al mondo, mi ha rimesso in contatto con me stessa. Improvvisare un itinerario, senza limiti di tempo, seguendo solo il mio istinto e la mia voce interiore, mi ha fatto sentire viva.
Essere costretta a dialogare solo con me stessa e ad ascoltare le mie esigenze, anche le più semplici (mangiare / non mangiare, sedersi / camminare), è stato un bell’esercizio per rimanere ben centrata su di me e imparare almeno un po’ a non farmi continuamente spostare dalle circostanze.

La vista da Zattere

È difficile trasmettere a parole tutta la bellezza che i miei occhi hanno visto a Venezia (le mie foto di certo non rendono), ma ci sono stati in ogni caso dei momenti stupendi e inaspettati. Mettersi a piangere dentro a San Marco perché è tutto troppo bello per essere vero, o sedersi per terra a Punta della Dogana e pensare per la prima volta dopo molto tempo “non mi manca nulla”.
O godersi in santa pace in Campo San Barnaba uno spritz al Select, che a Milano è quasi introvabile.

Quindi, ecco cos’ho capito da questo breve viaggio:
- Quando sei in dubbio, quando hai paura e non sei sicura, quando vieni presa dall’ansia, FAI. Buttati. A pesce.
- La vita è molto più semplice di come ce la raccontiamo noi. Basta poco per stare bene: un po’ di sole e lo zainetto in spalla, una nuova città da conquistare e un centinaio di chilometri da macinare. Non c’è bisogno di complicare le cose.
- Stare da soli non è un handicap, non è un limite, ma una risorsa.

Fine.
Auguro a tutti infinite giornate di sole e solitudine, amen.

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Alice S.

Faccio tante cose, ma poche bene. Per lavoro gestisco progetti, per hobby mando all’aria i piani.