ADDIO DUEMILAVENTI

Alice S.
6 min readDec 31, 2020

Facciamola finita una volta per tutte, dai!

la variante inglese, by Automatizzato Comunismo Memetico

Quest’anno era iniziato bene.

Avevo cominciato a insegnare discografia a una classe di gente sveglia (avevo la mia classe, come gli insegnanti seri, wow!), seguivo un progetto internazionale che riusciva a unire il mio interesse per le tematiche di genere alle competenze che avevo sviluppato lavorando nella musica, stavo pianificando trasferte all’estero per festival, sognavo viaggi da sola e grandi imprese, stavo cercando un corso di canto e avevo addirittura ricominciato a scrivere canzoni. Mi sembrava che finalmente tutti i pezzi che da sempre componevano in modo traballante la mia persona e la mia identità stessero andando insieme, ad assemblarsi in un raffazzonato ma comunque valido patchwork.

E poi.

E poi la pandemia, il lockdown, la solitudine, il senso di smarrimento, non mi sento bene, chiama il medico, “è lo stomaco” (gaviscon), “sei raffreddata” (tachipirina), “è l’ansia” (lexotan), sono stanca, non ce la faccio, non dormo, ma tanto chi dorme più, le sirene delle ambulanze in lontananza, ci vediamo su zoom, la psicologa su skype, gli amici su google meet, le riunioni al telefono, la cassa integrazione, “te lo ricordi l’ultimo concerto?”, le nostalgie, meglio comunque non uscire, di notte mi si chiude la gola, ogni tanto mi alzo e vomito, organizziamo un evento, anzi facciamo 3 o 4.

E poi mi ricoverano in ospedale per due mesi, ma questa è un’altra storia.

Quest’anno insomma è stato un vero e proprio mattone. Emotivamente, affettivamente, lavorativamente, fisicamente. Mi sento invecchiata di 100 anni (dove “invecchiare” forse vuol dire anche “crescere”?).

Ci sono state però delle “cose” (persone, soprattutto, ma come si fa a parlare delle persone su un blog?) — tra cui canzoni, dischi e libri — che sono riuscite nell’ardua impresa di addolcire questi faticosissimi 366 giorni.

Canzoni, in ordine casuale, non necessariamente uscite nel 2020, ma importanti comunque (per me):
- Cut me — Moses Sumney (in versione A Colors Show — lavare i piatti in lockdown ma col lip sync)
- Pais nublado — Helado Negro (malinconia crepuscolare di fine estate)
- Seven — Taylor Swift (ascoltata tanto, cantata di più)
- Majorana — Colapesce e Dimartino (inizio luglio, trasloco, mi siedo per terra nella mia stanza vuota, piango)
- On the floor — Perfume Genius (balletti appena tornata a casa dall’ospedale)
- I’m not dancing — Tirzah (aspettare l’autobus al freddo, le dita gelate, le occasioni sprecate)
- Kokomo — The Beach Boys (#buonumore)
- Diabolik — Tutti Fenomeni (quando provavo così tante cose allo stesso tempo)
- Distrust — Ailbhe Reddy (ero arrabbiata)
- Altrove — Venerus (tre di notte, scendere dalla 90, camminare per le strade deserte)
- Santa Maria de Feira — Devendra Banhart (balletti primaverili in lockdown)
- The adults are talking — The Strokes (come sopra, ma in attesa che si sgeli la pizza surgelata)
- CENTOQUARANTA — Fuera (quest’estate, quando andavo a piedi dalla psicologa, e centoquaranta erano i gradi centigradi percepiti)
- Good news — Mac Miller (tutt’altro che good news)
- It won’t always be like this — Inhaler (prime riaperture, barlumi di speranza, chitarre)
- Melt! — Kelly Lee Owens (al computer a lavorare come una matta)
- Musica (e il resto scompare) — Elettra Lamborghini (per l’ultima volta a cena tutti insieme)
- Scherzo (feat. Massimo Pericolo) — Generic Animal (viaggio in macchina, ferie finite, guardo fuori dal finestrino)
- Vivere ancora — Gino Paoli (me l’ha fatta scoprire mio padre, l’amore è questa cosa qui)
- Cranes in the sky — Solange (piangere alla fermata dell’autobus, piangere sempre e comunque e ovunque)
- All I want — Joni Mitchell (in ospedale, in bagno, ma chi è quella davanti allo specchio?)
- The steps — HAIM (so baby, when I’m near you you can’t feel me, I’m lightnin')
- Senza fiato — Nicolaj Serjotti (folgorazione di fine anno)
- Come to life — Arthur Russell (raggi di sole che entrano dalla finestra mentre aspetto che salga il caffè)
- Everyone is so in love with you — Women (un grande ritorno)
- Où va le monde — La Femme (voglia di riprendere a parlare francese)
- Novembre — iosonouncane (l’inverno nel seno)
- Waving, smiling — Angel Olsen (piegare il bucato in una giornata di sole)
- WE COME FROM NAPOLI — LIBERATO (ferma all’imbarco dell’ultimo volo del 2020 a febbraio, Stoccolma-Milano, questa in cuffia)

Dischi (facciamo che ne metto solo uno in modo simbolico, che è — a parte “Folklore” di Taylor Swift — quello che ho ascoltato di più, chissà poi perché - ovvio: perché è bello):

Libri, in ordine cronologico di lettura:
- Hanya Yanagihara — Una vita come tante (iniziato nel 2019, letto sull’autobus, a letto sotto il piumone di notte, in aereo sulla tratta New York-Milano. C’è chi dice che questo libro fa schifo, che spettacolarizza il dolore. A me è piaciuto, stop)
- Kevin Wilson — Piccolo mondo perfetto (sono arrivata a metà e poi l’ho mollato, annoiatissima, magari non era il libro giusto al momento giusto, a volte succede)
- Roberto Bolaño — Puttane assassine (mio primo approccio a Bolaño, lo so, devo ancora leggere i suoi capolavori, ma qui c’è un racconto che ricordo come se l’avessi letto pochi minuti fa, vividissimo e potentissimo)
- Jennifer Egan — Il tempo è un bastardo
- Jonathan Bazzi — Febbre (scritto indubitabilmente bene, con una sensibilità rara)
- Dino Buzzati — Un amore (il Buzzati che non conoscevo)
- Tara Westover — L’educazione (ca-po-la-vo-ro. Uno di quei libri che parlano della vita, della morte, del dolore, della fatica della rinascita, e lo fanno bene)
- Joan Didion — Blue nights
- Mark Fisher — Realismo capitalista (mio primo tentativo di avvicinamento all’anticapitalismo, primo e non ultimo, sia chiaro)
- Philippe Lançon — La traversata (in francese si intitolava “le lambeau”, “il brandello”, molto più carnale. Ci ho messo parecchio a leggerlo e non volevo che finisse, anche se è stata una lettura dolorosa. Scrittura impeccabile, emozionante e sofferta, mi ricorderò di questo libro per sempre, credo)
- Costanza Rizzacasa D’Orsogna — Non superare le dose consigliate (un libro onesto. Mi è servito a capire fino a che punto ci si può odiare, e ho scoperto che forse non mi odio come pensavo)
- Chris Kraus — I love Dick (iniziato, abbandonato, ricominciato mentre ero in ospedale forse in stato un po’ confusionale, letto a pezzetti in momenti in cui scivolavo in continuazione nel sonno, mi ha fatto pensare che forse alcune relazioni servono a farti trasformare l’ossessione in arte, oppure mal che vada a farti sembrare completamente pazza)
- Ottessa Moshfegh — Il mio anno di riposo e oblio (bella l’idea, ma non capisco l’entusiasmo, forse sono io il problema)
- Lisa Taddeo — Tre donne
- Chimamanda Ngozi Adichie — Dovremmo essere tutti femministi
- Emmanuel Carrère — I baffi (mi piace tutto quello che scrive)
- Marco Missiroli — Atti osceni in luogo privato
- E. L. James — Fifty Shades of Grey (l’ho letto perché ero molto annoiata e volevo capire se c’era qualcosa di salvabile. Risposta: no, però è la prima volta che leggo un libro ed evidenzio alcune frasi perché sono scritte così male da farmi venire la ridarola, quindi bene così)
- Emma Cline — Harvey (come rendere umano Weinstein)
- Elisa Cuter — Ripartire dal desiderio (letto -divorato-, e poi studiato con attenzione. Densissimo, mi ha convinto definitivamente del legame tra disuguaglianza di genere e capitalismo e mi ha costretto a cambiare idea su alcune mie posizioni che ritenevo incrollabili)
- Peter Cameron — Cose che succedono la notte (uno dei miei scrittori preferiti, un libro notturno e cinematografico)
- K. Linkiesta fiction vol. 1 — Sesso (mi ero dimenticata quanto fosse bello leggere racconti, per me soddisfacenti come romanzi, brevi, intensi, uno dopo l’altro. Quello che mi è piaciuto di più è di Luca Ricci)

Quindi ciao 2020, a mai più.
(e comunque grazie a chi c’è stato e a chi c’è)

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Alice S.

Faccio tante cose, ma poche bene. Per lavoro gestisco progetti, per hobby mando all’aria i piani.